LE DIVISE E LA DEMOCRAZIA.

Roberto Yeti Talpo 
Sui social, in questi giorni, è ricorrente l’apparizione di vecchie foto in divisa in risposta alla Signora Michela Murgia, scrittrice, blogger, commentatrice, la quale ha dichiarato in una trasmissione televisiva di essere spaventata nel vedere il Generale di Corpo d’Armata Francesco Paolo Figliolo, nuovo Commissario Straordinario all’Emergenza governativo al posto del Dott. Arcuri, girare in divisa ed usare una terminologia militare.
Da vecchio soldato, i miei capelli bianchi mi permettono di ricordare il brutto giorno del 1978 nel quale arrivò il divieto di uscire dalle caserme in divisa, azione che i politici dell’epoca arrivarono a considerare provocatoria, in un periodo nel quale le aggressioni a chi usciva in divisa erano all’ordine del giorno. Erano tempi bui, dove la politica giustificava e tollerava l’oltraggio agli uomini in divisa, sanzionando pesantemente eventuali giustificate reazioni, e la nostra fragile democrazia, non sazia di una dittatura di destra, correva a braccia aperte incontro ad una di segno opposto. Ricordo ancora con dolore l’amaro in bocca e nel cuore. 
Da uomo che la divisa l’ha costantemente indossata dentro per ciò che rappresenta, anche dopo averla dismessa fuori, ho sempre ritenuto che il compito del Soldato sia garantire alla Signora Murgia la possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero, qualunque esso sia, nei limiti di Costituzione e Legge. 
Avendo girato il mondo, certo non posso evitare di ricordare tutte le volte che ho visto cedere il passo in una fila ad un militare in divisa, né di aver percepito il cancello invalicabile con il quale la gente, altrove, separa la politica, per definizione di parte, dalle uniformi che sono di tutti. Ed essere triste.
Una tristezza per quello che certa mentalità modaiola sembra non vedere, ovvero il contrasto violento con quegli slogan di inclusione, di uguaglianza, di comprensione ed integrazione che la stessa mentalità usa ed abusa, altrove, per ottenere facile consenso. 
Come spesso avviene in questi casi e con esponenti di tale pensiero, poi, invece di una rapida supercazzola riparatrice, non solo un reiterare di concetti quanto meno arcaici, di accoppiamenti con dittature, ovviamente solo della parte opposta alla propria, ma la solita levata di scudi di una pseudo intellighenzia schierata. 
Un esempio fra tutti l’articolo di Luca Bottura sull’Espresso on-line dell’8 Aprile, che dando ragione alla Signora Murgia chiude: “Specie perché manco è sicuro che Figliuolo lo sia, un militare. Numeri alla mano, parrebbe più Arcuri che, per non farsi riconoscere, s’è infilato un costume carnascialesco.”
Il tutto viene poi alimentato dallo schieramento opposto il quale, spesso, preferisce facili insulti ad una ponderata risposta, permettendo a questi “illuminati” di spostare l’attenzione sulla tempesta di offese piuttosto che sul fatto, e magari passare anche da vittime.
Il fatto che il Generale Figliolo sia stato, dal 2018, Comandante Logistico dell’Esercito, sfugge, svanisce, resta sconosciuto. Un militare esperto di pianificazione ed organizzazione, quella pianificazione ed organizzazione che permette ai nostri 7.488 soldati di essere presenti in 41 diversi impegni all’estero, assicurando loro tutto ciò che possa servire, dal lenzuolo alla forchetta, dalla tenda al trasporto, dalle divise alle munizioni. Altro che “costume carnascialesco”. Una divisa, una appartenenza, una responsabilità, una tradizione, una dichiarazione di lealtà, obbligo d’onore, senso del dovere, e rispetto costituzionale. Perché nessun militare la indossa e la esibisce, in Patria o all’estero, senza un mandato del Parlamento che dovrebbe rappresentare la volontà popolare. Almeno per chi voglia rispettare i fondamenti della Democrazia, anche quando in minoranza.
Concordo, invece, sull’affermazione, anche una presa di coscienza, sporca, che il nostro elefantiaco sistema burocratico sembri incapace di esprimere una pari professionalità in borghese. In realtà ci sarebbero pure esperti paragonabili, forse, ma come tutti i posti di potere di questo Paese malato di politica fine a se stessa, ben accasati e sponsorizzati, quindi fonte di battaglie, spartizioni, compensazioni, in balia del suk dei partiti. Non c’era tempo per il solito balletto e per una nomina di cui farsi belli. Ma tanto, prima o poi, qualche tempestiva inchiesta giudiziaria tenterà di sporcare anche lui. E quando sarà assolto, dopo dieci anni, il fango oramai avrà tacitato gli araldi del nulla.
Stranamente non si è parlato delle divise dei militari sparsi per tutta Italia nell’assurda Operazione “Strade Sicure”. Un temporaneo aiuto alle Forze dell’Ordine, iniziato nel 2008 e divenuto, nonostante il cessare dell’esigenza, permanente, illogico, dequalificante. Ma son militari e non valgono le attenzioni degli “illuminati”. Loro se stanno in divisa fuori dalle caserme non contano, le loro armi non spaventano, non ricordano dittature.
Anche io metterò una vecchia foto, sbiadita dal tempo, Signor Generale Figliolo. Non una bella foto roboante ma la foto di un soldato stanco, sporco, con gli occhi persi nel vuoto, alla fine del proprio compito. Non perché Lei abbia bisogno della mia solidarietà, ma per affermazione democratica, orgoglio, ed in ricordo dell’umiliazione provata quando ci fu vietato di uscire dalle caserme in divisa.
RT2021

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