
Fa impressione sentire i massimi esponenti Anpi contestare l’esposizione delle bandiere della Nato innalzate alla fiaccolata per il 25 aprile, a Torino, da alcuni atlantisti, ma non dire nulla delle bandiere rosse con falce e martello presenti, che pure sventolano più che frequentemente sui carri armati russi in Ucraina.
Non fa più impressione la segregazione dei rappresentanti della Brigata ebraica, cacciati da anni dai cortei ufficiali del giorno della liberazione, che pur continua ad esserci. Come continua ad esserci quel convinto distinguo tra nazismo, fascismo e comunismo, che avvolge questo Paese in un ipocrita sudario.
Il fascino delle dittature, delle soluzioni semplici, dell’imporre agli altri. Solo un analfabetismo democratico, che ha portato tutte le dittature rosse a rapinare il termine “democratico” per i loro partiti unici, per i loro sanguinosi stati dittatoriali, per le “spontanee rivolte” provocate in mezzo mondo, ma solo dove vi fossero risorse o ragioni strategiche per il mandante.
La democrazia, così come recitata in molti stati contemporanei, è certamente affetta da morbi, da isterismi, da ipocrite prese di posizione per fini meramente elettorali e di potere. Ma è anche l’unico sistema nel quale esistono tutti gli anticorpi. Nessuna soluzione facile, anche troppi compromessi, conformismi di convenienza e pensieri unici, arzigogoli mentali, mode. Spesso difficili da accettare, illogici, innaturali, palesemente pretestuosi. Nelle democrazie deboli, poi, il facile ricorso a leggi per vietare agli altri di pensare diverso. Reazioni ed estremismi in attesa di un vaccino.
Inutile tacciarli di populismo, qualunquismo, sovranismo, per ghettizzarli. Andrebbero ascoltati. Ci vorrebbe il coraggio di ammettere che amare il proprio Paese non è un male. Che volerlo difendere è un obbligo costituzionale, anzi “un sacro dovere” costituzionale. Andrebbe ricordato, dal Presidente della Repubblica in giù che Patria e Nazione sono termini preziosi da rispolverare, sono identità, sono la ragione di essere della stessa Unione Europea. Uniti nel rispetto delle proprie peculiarità, prezioso contributo ad un sogno.
Mentre a qualche migliaio di chilometri dalle nostre piazze, più anti che festanti, sventolano su carri armati invasori le stesse bandiere rosse, con falce e martello, fermiamoci a pensare.
Furono 330.000 circa i giovani americani, inglesi, francesi, polacchi, ebrei, morti, feriti, prigionieri e dispersi per cacciare da questo ingrato paese il nazismo ed annientare il fascismo. Fascismo nato dai conflitti sociali post bellici, con centinaia di morti da ambo le parti, e la paralisi economica di una nazione stremata dalla pur vittoriosa Prima Guerra mondiale. Una guerra civile della quale non vogliamo mai parlare, il “biennio rosso”, che contrappose, con le armi e la violenza, il socialismo internazionalista sovietico al resto del paese. Per opposizione alla violenza rossa nacque quella nera, che vinse sul terreno ed alle elezioni. E fino alla seconda guerra mondiale, piacque a tantissimi, la maggioranza. Solo dopo diciassette anni le cose cambiarono.
Il 25 aprile non dimentichiamoci di essere stati fascisti, in buona parte anche razzisti, almeno per convenienza. Non dimentichiamoci che, senza quei 330.000 soldati che neanche sapevano dove fosse l’Italia prima di doverci combattere, quelle bandiere di una dittatura, solo di colore diverso, oggi non potrebbero essere sventolate. Non dovrebbero, non per leggi o imposizioni liberticide, ma per rispetto a chi, all’estremo nord-est europeo, una mattina si è svegliato ed ha trovato l’invasore… un’altra dittatura allo sbaraglio.
RT2022