DE PROFUNDIS DI UN SOGNO.

Roberto Yeti Talpo

Sono stato uno dei primi a propugnare ed introdurre Internet in Italia. Fine anni ’90. Ho creduto fermamente nelle possibilità sociali, societarie e commerciali del media. Certo ci dovevo anche guadagnare, se non altro per tenere in piedi la baracca, ma l’idea di un sistema senza barriere e limiti che permettesse il libero scambio di idee attraverso la rete informatica, senza padroni, mi affascinava e scatenava la gioia anarchica che porto da sempre con me. 
Ricordo ancora quando asserivo con convinzione che la Rete avrebbe fatto recuperare la capacità di scrivere, come summa di un aumento di  informazione, cultura, e libertà di espressione, partecipandovi attivamente sia come semplice utente che come provider. 
Ne ero talmente entusiasta da aver anche pubblicato, nel 2000, per i tipi di EdUp, “Manuale di base per usare Internet”, un libro-manuale finalizzato a diffondere e rendere comprensibile l’uso della Rete, rinunciando per principio ai miei diritti d’autore. Qualche maligno dice perché non credevo potesse avere successo, ma sbaglia. Funzionò e, per quanto superato, anzi obsoleto, e difficilmente reperibile, è ancora a catalogo di molte piattaforme on line.
Alcuni degli amici, che oggi partecipano alle mie esternazioni su Fb, sono reduci di un gruppo di libero scambio di idee che inserii nel portale della mia società, “Figli di Nessuno”, con sottotitolo “l’opinione che non conta”, sorto dalla chiusura del forum di Severgnini “Italians” sul sito del Corriere della Sera, lui si vero precursore. Tutto questo molto prima di Facebook, Twitter, Instagram e dei loro emuli. E sopportando stoicamente un hater ante litteram, che ci deliziava con i suoi deliri.
Segretamente ho sempre temuto l’arrivo di qualsiasi condizionamento di questo meraviglioso modo di esprimersi. Fino a quando il mostro è arrivato.
Una delle cose peggiori è che i providers degli attuali sistemi non hanno condizionamenti legali. Ad esempio, sia dalla giurisprudenza americana che da quella europea, fatti salvi i diritti d’autore, non sono ritenuti responsabili del contenuto di quanto gli utenti pubblichino. 
Nel Communications Decency Act Usa (1996), sezione 230, si legge “Nessun fornitore di servizi internet e nessun utilizzatore di tali servizi può esser ritenuto responsabile quale editore o quale autore di una qualsiasi informazione che sia stata creata e fornita da terzi”. Le basi giuridiche e costituzionali sono solide, dal Primo Emendamento della Costituzione “Il Congresso non potrà emanare leggi… per limitare la libertà di parola o di stampa…” al concetto di responsabilità individuale che permea tutta la giurisprudenza Usa.
L’Europa segue, in maniera molto più sfumata, nella “direttiva e-commerce” del 2000, “gli Stati membri non impongono ai prestatori un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano, né un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite.” Ma non si sbilanciano neanche troppo.
La sempre maggiore diffusione di “discorsi d’odio” e “fake news” portò, negli Usa prima, poi in Europa, all’implementazione da parte dei Providers di codici di comportamento e linee guida arbitrali, basate sulle pressioni dell’opinione pubblica che ne giustificassero l’intervento sempre maggiore. Come sempre però, la facoltà di censura innesca una falla nella diga della quale non è più possibile garantire la solidità, e l’intervento dei Providers divenne sempre più invasivo.
Occorre infatti ricordare che, prescindendo e non volendo considerare eventuali schieramenti politici dei fornitori di servizi, pur esistenti, i social vivono di pubblicità. La pubblicità è pagata da piccoli e grandi inserzionisti. Gli inserzionisti, spesso grandi marchi inseriti tra i big della finanza, a loro volta frequentemente schierata politicamente in favore di chi dia loro più vantaggio, temono, giustamente, di perdere clienti se il social sul quale si manifestino tolleri questo o quel pensiero capace di urtare una parte dei propri consumatori. Che poi coloro che protestino siano solo una minoranza rumorosa poco conta. Spesso, a colpi di politically correct, di campagne anche isteriche, di qualunquismo ideologico e violenza di massa contro le idee altrui, guadagnano, se pure per brevi periodi in senso storico, la prevalenza sulla cosiddetta maggioranza silenziosa e dettano legge. 
Una volta che la diga cominci a cedere, che si sia abbandonato il super partes, il concetto tanto caro a Voltaire “Non condivido le tue idee, ma mi batterò fino alla morte affinché tu possa esprimerle” cessa ogni suo significato. Gli subentra un meno aulico, ma molto più pericoloso Zuckerberiano “Posso condividere o meno le tue idee ma, siccome a farlo ci rimetto, comunque non le pubblico, ti sospendo, ti cancello”.
Trump, vittima eccellente ma non incolpevole di questa svolta, anche a seguito di azioni di dubbia legalità di società Usa che forniscono dati al governo cinese per contrastare gli attivisti dei diritti umanitari, il 28 maggio, con un ordine esecutivo che inizia ricordando i sacri principi del Primo Emendamento della Costituzione sulla libertà di espressione, stabilisce che l’assoluta immunità dei Providers sancita dalla sezione 230, non possa essere estesa a proteggere  coloro che “… pretendono di fornire agli utenti un forum per un libero ed aperto dibattito, ma in realtà usano il loro potere su un vitale mezzo di comunicazione per intraprendere ingannevoli o pretestuose azioni che soffochino un dibattito libero ed aperto, censurando certi punti di vista”. Quella che è seguita, con la sua cancellazione, sembra più una prova di forza, ancorché su uno sconfitto, che un’azione di protezione. 
Per coloro che invocassero l’indipendenza dell’azienda privata, della libera impresa, ricordo che per poter operare attraverso un medium del tutto nuovo, alle stesse fu conferito lo status di “piattaforma”, non di editore. Un concetto del tutto nuovo, a garanzia della immunità legale da quanto pubblicato dagli utenti, proprio per garantirne la libertà di espressione.
L’Europa, il 15 dicembre, ha fatto seguito, con la presentazione del Digital Service Act. Ci vorranno un paio di anni perché superi l’iter burocratico, non saremmo Europa altrimenti.. Qui non si parte da sacri princìpi costituzionali, né da concetti di responsabilità individuali, ma dal superare l’iniziativa dei singoli Providers per fornire linee guida europee alla censura, ed una trasparenza che permetta all’utente di sapere sempre il perché di tale azione. Censura ammessa, che qui da noi il Primo Emendamento vale solo per alcuni ben allineati, ma europea.
Comunque la si veda, una censura è una censura e la libertà di Internet sembra oramai destinata a soccombere. In queste ore, ormai collassata la diga, si susseguono sospensioni importanti dai social, da quella del quotidiano Libero, poi revocata a denti stretti, a quella di una sciocca signora, assessore veneto. Questa è ancora più preoccupante perché le esternazioni sul fascismo ed il canticchiamento di “faccetta nera” sono avvenuti per radio, non sui social. Eppure i tre social principali, all’unisono, ne hanno bloccato i profili. Preventivamente.
Ma il caso più eclatante è quello di una mia “amica” di Fb, Caterina. Attaccata violentemente in vari post con insulti, sessismi, minacce ed una sequela di bestemmie da un hater di posizione politica opposta alla sua, ma di moda, chiede l’intervento di Fb. Le viene risposto che non si sono rilevate ragioni per censurare l’isterico aggressore, e che se lei non vuole ricevere più suoi post basta bannarlo. Una segnalazione non basta, se poi non sei “di moda”, peggio. Così lei, prima di bannarlo risponde, correggendo delle sue sgrammaticature col latino ed accennando alle sue bestemmie: “minus habens singolare, minus habentes plurale. Che testina sveglia che hai: dici da solo che offendi Dio! Un genio! Un genio proprio.” Il tipo la segnala e la fa segnalare dai suoi accoliti a Fb, e la Caterina, proprio oggi, è stata sospesa per 30 giorni per quanto ho sopra riportato (ho lo screen shot). Il Salmo 129 inizia “De profundis clamavi ad te, Domine: Domine, exaudi vocem meam …” dal profondo a te grido, o Signore; Signore, ascolta la mia voce… Ascoltare non si sa bene cosa abbia ascoltato, ma sulla risposta non vi è dubbio.
Il De profundis di un sogno.
RT2021

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