AM## 28 MARZO 1923 – 28 MARZO 2023. L’AERONAUTICA MILITARE ITALIANA COMPIE 100 ANNI…!

LA PATTUGLIA ACROBATICA NAZIONALE (PAN) SORVOLA L’ITALIA.

SCORTA ALLA BANDIERA STORICA DEL 51° STORMO
CON VALORE FINO ALLE STELLE
LOGO UFFICIALE PER IL CENTENARIO

Buon compleanno Arma Azzurra! Per questo importante evento, mi è gradito proporre un piccolo e doveroso contributo con il quale tenterò di raccogliere, fra i miei ricordi, le pagine più significative e più belle. Imposterò questa mia presentazione sotto forma di dialogo con il mio più autorevole interlocutore: lo Starfighter F104 il “Cacciatore di Stelle”.

F104S SULLA PISTA DI DECOLLO A TRAPANI BIRGI


Un doveroso ricordo di chi, meno fortunato di noi, ha segnatamente marcato, con il suo stesso sangue, il percorso di vita di questa macchina generosa ma esigente.

Ho passato sull’F104, più di dieci anni della mia vita e parlando di lui, spero di non divenire preda di una melensa e inconcludente retorica. Cercherò anche di non farmi sopraffare dalle emozioni visto che gli anni mi impongono, ormai, una fragilità “strutturale” che si va, via via, consolidando. È un lavoro che vorrei dedicare in particolare ai Giovani, alle loro incertezze, ai loro dubbi e alle loro speranze. Li invito a non smettere mai di sognare, anche se i difficili momenti che viviamo, non inducono certo all’ottimismo. Suggerisco loro di non demordere e di continuare comunque a credere nella vita. Auguri, auguri di cuore Ragazzi

1. Ti ricordi Amico mio…? (Il mio interlocutore è lo Starfighter F104).

Era il 16 gennaio 1967 il giorno in cui ho messo piede, per la prima volta, in Accademia Aeronautica. Sono entrato con il 62° CORSO AUPC (Allievi Ufficiali Piloti di Complemento), il Corso “CONDOR”. Eravamo tutti spaesati e molto stanchi, si proveniva da tutta Italia. Allora non operavano i treni Freccia Rossa! Sulla collina di Pozzuoli, il luogo era incantevole. Dopo il “check in” di rito, il primo crudele incontro fu con il barbiere che, senza pietà, fece cadere, ai suoi piedi, i nostri capelli…un tempo potentissima arma di seduzione! È seguita poi, la vestizione: la divisa da lavoro (studio) e la divisa per la libera uscita. Si alternavano ore di lezione e di studio a ore di relax. Immancabile anche la marcia, inquadrati nel sottostante piazzale Rex. La vita scorreva tranquilla. Ricordo il mattino (la sveglia), appena alzati, davanti agli specchi dei bagni comuni, ci facevamo la barba ed era una fioritura di inflessioni dialettali che palesavano arditamente le nostre regioni di provenienza. In quei momenti l’Italia, diventava più piccola, più raccolta, più solidale. Assieme stavamo bene. Il “cubo” delle coperte e delle lenzuola ai piedi del letto, doveva essere perfetto per poter superare, poi, i rigidi controlli imposti dagli Ufficiali di inquadramento addetti al nostro Corso.
I più vivaci e intraprendenti riuscivano anche a prodigarsi in scherzi talvolta “feroci” e fu così che una notte, nella mia camerata (eravamo in otto), uno di noi si trovò un vero serpente nel letto. I nomi dei “colpevoli”, ancorché a noi conosciuti, non vennero mai fuori, la spia e la delazione non erano ammessi.  
All’inizio, il nostro Corso era composto da circa 120 persone. Con il passare dei giorni, però, alcuni non sopportavano lo stile di vita e la rigida disciplina cui eravamo sottoposti (oggi non è più così!) e chiedevano di essere dimessi dal Corso. 
Arrivarono presto gli esami scritti e orali e si giunse così, alla tanto agognata partenza per la scuola di volo di Lecce FOTO1. Era finalmente arrivato il momento più bello.

2. Ti ricordi Amico mio…?

La scuola era denominata “Scuola Volo Periodo Basico” e operava su aerei MB326 (in gergo, un padre di famiglia). FOTO1 FOTO2
Lo stemma del Reparto riproduceva un pinguino: aveva le alucce ma non sapeva volare.  
Alla scuola di volo di Lecce rimanemmo alcuni mesi. Ore di studio si alternavano ad altrettante ore di briefing mirati allo svolgimento delle successive missioni in volo. Il nostro Corso aveva anche una mascotte il cagnolino “FLAP” che ci faceva compagnia anche nella marcia. Il momento più emozionante, però, fu il decollo da “solista” ovvero la prima volta che fui autorizzato a volare da solo, senza l’istruttore. Fu, per me, un momento magico e  di grande commozione. Durante il decollo, sotto la visiera del casco, scese anche qualche lacrima. Nessuno ci poteva vedere, eravamo solo noi: il mio sogno e l’aereo che sfrecciava nel cielo azzurro. Ancorché commossi, avevamo comunque tutto sotto controllo, non erano ammesse distrazioni. Le settimane e i mesi passarono rapidamente, arrivarono gli esami e quindi la consegna dell’Aquila di “Pilota di Aeroplano”.
(Il 16 gennaio 2017 siamo ritornati a Lecce in occasione del cinquantenario del Corso e abbiamo trovato, il nostro padre fi famiglia, il “Macchino” MB326 come Gate Guardian. FOTO1 FOTO2 FOTO3 FOTO4)
Successivamente ci fu il trasferimento all’aeroporto di Amendola (Foggia) e la prosecuzione dell’addestramento presso la scuola di “Volo Basico Avanzato Aviogetti” su aereo G91T FOTO1 FOTO2 FOTO3.

Anche ad Amendola i mesi trascorsero rapidamente. Alla fine del corso, superati gli esami teorici e pratici, ci fu appuntata sul petto la tanto agognata Aquila Turrita di “Pilota Militare”. Veniva così posto il suggello all’intero nostro iter addestrativo presso le Scuole di volo dell’Aeronautica Militare.

3. Ti ricordi Amico mio…?

Dalle scuole di volo, con l’Aquila Turrita orgogliosamente appuntata sul petto, siamo stati trasferiti ai vari reparti di volo allora operativi sul territorio nazionale. Io fui assegnato al 51° STORMO 22° GRUPPO Caccia Intercettori di Istrana (Treviso). Arrivai al Reparto il giorno del mio compleanno il 28 maggio 1968. Avevo 22 anni e una sempre più nutrita fioritura di sogni. Non mi sembrava vero. Tu Amico mio, non eri ancora arrivato al 51° Stormo. Iniziai, quindi, a volare su F86K. Seduto ai comandi, sembrava di essere sul trono di un Re o sulla sedia gestatoria del Papa. Con l’F86K partecipai anche a una campagna di tiro aria/aria al poligono di Decimomannu in Sardegna. Essendo l’ultimo arrivato, mi veniva spesso assegnato un aereo non perfettamente collimato. Un giorno il capo formazione, nell’assegnare gli aeroplani, a me disse: se con questo aereo, riesci a mettere a segno un solo colpo, dovrai offrire l’aperitivo a tutti i componenti della formazione. A me erano stati assegnati i proiettili contrassegnati dal colore giallo. Credetemi, dopo avere recuperato il banner che avevamo utilizzato come bersaglio, verificammo chiaramente un colpo di colore giallo andato a bersaglio. Fu per me una piccola soddisfazione…da ultimo arrivato.

4. Ti ricordi Amico mio…?

Tu arrivasti a Istrana nel 1968/1969 e io fui, così, inviato a frequentare il corso teorico di transizione sull’F104, Era la perla che ancora mancava FOTO1. Ci capimmo subito io e te e senza, però, prendere troppa confidenza, mi limitavo a guardarti e a trattarti con il dovuto rispetto. Abbiamo iniziato, poi, a conoscerci meglio. Tu eri uno scattante purosangue. Non era facile riuscire a controllare la tua esuberante potenza. Impiegavi poco più di un minuto per raggiungere 10.000 metri e in configurazione leggera, eri in grado di “schizzare” supersonico anche in salita. Quanti ricordi Amico mio…! Siamo stati operavi nel periodo più delicato della Guerra Fredda. Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Germania Est, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania facevano parte del Patto di Varsavia controllato dall’Unione Sovietica (Blocco Orientale). FOTO1 FOTO2 FOTO3 FOTO4
Il caratteristico rumore del tuo motore rappresentava la voce della libertà.
Ricordi…un giorno eravamo in servizio di Allerta2 (vigilanza dello spazio aereo) e fummo chiamati a un decollo immediato. Tu avevi due missili AIM9 a raggi infrarossi agganciati sotto le ali e fummo mirabilmente guidati dal Radar di terra, verso il Veneto orientale per intercettare un aereo che non era autorizzato all’ingresso nello spazio aereo italiano. Fu un intercettazione assai laboriosa, non semplice. Il nostro target era molto lento e per riuscire a non perderlo di vista ci siamo inventati di tutto, compresa una pesante configurazione full flap e carrello esteso. Era un vecchio velivolo AN2 di nazionalità polacca che, fra mille difficoltà, siamo riusciti comunque a fare atterrare, in sicurezza, all’aeroporto Marco Polo di Venezia. Il pilota e i passeggeri hanno, poi, chiesto asilo politico all’Italia. Dimmi la verità Amico mio, tu non ti ricordavi questa avventura condotta a una velocità decisamente bassa per i tuoi gusti!

5. Ti ricordi Amico mio…?

Tu preferivi le velocità alte e quindi ricorderai con maggior piacere le missioni profilo condotte a velocità supersonica. Li, eri visibilmente più a tuo agio. Con il post bruciatore inserito, cominciavi l’accelerazione. Inizialmente sembravi un po’ restio a superare la barriera del suono e nella fase transonica inducevi, su tutta la struttura dell’aereo, delle leggere oscillazioni quasi per manifestare la tua ritrosia ad aumentare la velocità. Era solo un fenomeno temporaneo e quando l’onda d’urto che stavamo producendo, passava in corrispondenza delle prese statiche dell’aereo, le lancette degli strumenti a capsula presentavano delle visibili oscillazioni che si stabilizzavano, poi, con l’aumentare della velocità. Superata la fase transonica tu schizzavi via come un nocciolo di ciliegia premuto fra i polpastrelli delle dita.
Mach 1, 1.1, 1.2, 1.3, 1.4, 1.5, 1.6, 1.7, 1.8, 1.9…Mach 2.0, 2.1, 2.2 (F104S). Se ti avessi lasciato andare tu saresti andato ben oltre ma avevamo altri parametri da rispettare e in primis la temperatura dell’aria in ingresso al motore. Ricordi…la temperatura dell’aria esterna era di circa -60°C e prima di entrare nel motore, a causa dell’aumento della velocità e dell’attrito, raggiungeva la temperatura di circa +150°C e la grande luce rossa “SLOW”, posta al centro del cruscotto, proprio davanti agli occhi, iniziava a lampeggiare. Per ridurre la velocità impostavamo una leggera cabrata e tu saresti veramente salito fino alle stelle ma io , invece, non disponendo di tuta pressurizzata, ero costretto a impostare un rovesciamento per costringerti a ridurre la quota e ritornare, quindi, in regime subsonico.

6. Ti ricordi Amico mio…?

Era un pomeriggio afoso di inizio estate e andammo in volo per una normale missione di addestramento. Al rientro tu però hai fatto le bizze…! Non volevi estendere i flap per preparare l’avvicinamento al successivo atterraggio. Le superfici non si muovevano affatto anche dopo ripetuti tentativi di estensione. Non rimaneva, scelta, dovevamo atterrare senza le superfici di ipersostentazione e…tu avevi una superficie alare già molto ridotta. Il manuale di volo, in merito, era molto chiaro e tassativo, la velocità minima per l’atterraggio non doveva essere inferiore a 230 nodi – circa 400 km/h – e la manovrabilità dell’aereo, alle basse velocità era, ovviamente, assai compromessa. Da notare, poi, che la velocità massima per i pneumatici del carrello era la stessa ovvero 230 nodi.
Abbiamo consumato tutto il carburante possibile per ridurre al massimo il peso dell’aereo e ci siamo presentati all’atterraggio posizionandoci, su un lunghissimo finale, nel rigoroso rispetto dei parametri imposti. Toccammo la pista alla velocità prevista e i pneumatici ressero bene. Altra incognita, però, era rappresentata dalla tenuta del “parafreno” (paracadute frenante) che aveva il suo carico di rottura a 180 nodi. Anche il parafreno fu nostro alleato e ci aiutò a smaltire ulteriormente la nostra velocità. In caso di necessità avremmo potuto contare anche sul gancio di arresto (tipo porta aerei) per ingaggiare eventualmente la barriera d’arresto posta a fine pista. Quella sarebbe stata la nostra ultima chance per fermarsi in pista. Non fu necessario nemmeno il gancio perché raggiungemmo il parcheggio con i nostri mezzi. Siamo stati bravi Amico mio? Forse, siamo stati soprattuto fortunati.

7. Ti ricordi Amico mio…?

Era il 26 agosto 1976. Eravamo stati incaricati di effettuare un volo speciale per il trasporto di posta aerea a velocità supersonica. Si trattava di un volo sperimentale in occasione della Mostra Internazionale di Aero-filatelia “Serenissima ’76” che si sarebbe tenuta al Lido di Venezia dal 27 al 30 agosto 1976. Per l’occasione fu emesso uno speciale annullo postale con la dicitura “Esperimento di posta aerea supersonica”.
Poiché l’aeroporto di Istrana era chiuso per lavori di manutenzione alla pista principale il 22° Gruppo era rischierato sulla base di Aviano. Il nostro volo con aereo F104S 51-07 (MM 6849) nominativo radio “PLUTO22”, è decollato da Aviano alle ore 10.45. Salita iniziale fino a FL 270, quindi, ulteriore salita a FL 370. Abbiamo iniziato l’accelerazione fino all raggiungimento di Mach 1.8 cui seguì una ulteriore salita a FL 450. Abbiamo accuratamente evitato la buffer zone di Roma e siamo atterrati a Trapani Birgi alle ore 11.28. Abbiamo collegato, così, i due aeroporti militari più distanti sul territorio italiano in poco più di 43′ minuti. Qualche giorno prima, durante una prova del volo sullo stesso percorso, il bang sonico era arrivato sulla città di Roma anche a causa di una forte componente di vento da ovest e un inconveniente ai sistemi di navigazione…allora non avevamo GPS.

Il caricamento della Posta
L’aereo utilizzato
Il Fogglietto
Le Buste Volate FOTO1 FOTO2

8. Ti ricordi Amico mio…?

Il tempo era buono. Siamo decollati in formazione (2 aerei) per una missione notturna di addestramento sulle Alpi veneto-friulane. Come ai solito, ci siamo alternati con il secondo aereo, nella posizione di “target” e di “fighter”. Volando come target il volo era più tranquillo e avevo più tempo per ammirare il panorama e in particolare quel meraviglioso cielo stellato. Fra quelle stelle c’era, però, una luce particolare alla quale, lì per lì, non feci caso. Poi ebbi l’impressione che quella luce mi stesse seguendo mantenendosi comunque a una distanza di circa 2-3 km. Ridussi istintivamente l’intensità di tutte le luci di cabina attribuendo il tutto a un bizzarro riflesso sul tettuccio di plexiglas. La causa non era un riflesso il “Coso” era sempre lì sulla destra e mi seguiva. Appena il collega terminò il suo attacco simulato al mio aereo che fungeva da target, lo chiamai via radio e senza influenzare la sua risposta, gli chiesi se notasse qualcosa di strano. Mi rispose con un po’ di ritrosia anche perché, guarda caso, stavamo sorvolando proprio le zone di produzione del Prosecco. Il collega vedeva quello che vedevo io. Parlai allora con Radar di terra che guidava la nostra missione e chiesi di potermi avvicinare all’oggetto non identificato che nel frattempo si esibiva in rapidissime accelerazioni e decelerazioni quasi istantanee. Puntai quindi sull’oggetto ma il mio radar di bordo non riusciva a “vederlo” pur essendo ad una distanza abbastanza ravvicinata. Il Radar di terra ci autorizzò a seguirlo ma sembrava che “Coso” misurasse con grande precisione la nostra velocità e si manteneva sempre alla stessa distanza, non riuscivamo a raggiungerlo. Eravamo esattamente dietro di lui a una quota di circa ottomila metri e a una velocità di poco superiore a 0.9 mach. Non potevamo aumentare la velocità perché avremmo provocato delle onde d’urto che avrebbero messo in allerta tutte le valli del Trentino. Il Radar di terra ci ordinò, poi, di abbandonare l’inseguimento perché non potevamo sconfinare nella vicina Svizzera. Ci siamo diretti, quindi, verso il lago di Garda e “Coso” sparì alla nostra vista. Sorvolando, poi, la zona di Desenzano, “Coso” si ripresentò e con una decelerazione quasi istantanea si posizionò ancora sulla nostra destra. Ricordo che dissi via radio al collega sull’altro aero: “è arrivato ancora rompipalle”. Ci siamo così diretti verso l’aeroporto di Istrana dal quale eravamo partiti. Il collega iniziò la sua discesa per portarsi all’atterraggio mentre “Coso” rimaneva nelle mie vicinanze. Iniziai anch’io la mia discesa per l’atterraggio. “Coso” mi accompagnò in discesa fino a circa 3000 mt e poi con una rapidissima accelerazione, sparì fra le stelle nel buio della notte. Il Radar di terra aveva registrato tutte le nostre comunicazioni per circa 30 minuti. Io non seppi più nulla.

9. Ti ricordi Amico mio…?

Camminando per i piccoli viali dell’aeroporto di Istrana, capitava spesso di incontrare un simpatico Aviere cui giornalmente era affidato il servizio di corvée. Con il suo carretto e la sua ramazza lo ritrovavi alla caccia delle ultime capricciose foglie che non volevano cadere. Era molto scrupoloso nel suo lavoro e i viali dell’aeroporto erano sempre puliti. Lo ammiravo anche perché lui era sempre contento e trasferiva la sua gioia di vivere a chiunque gli passasse vicino. Era un figlio della generosa Terra italica, abituato da sempre a lavorare.
Quel giorno io ero stato comandato di servizio di picchetto e come da prassi, avevo assistito al briefing tenuto giornalmente presso il Nucleo Difesa dell’aeroporto, I ragazzi della VAM (Vigilanza Aeronautica Militare) erano soliti ripetere e puntualizzare le delicate procedure cui avrebbero dovuto attenersi durante il servizio di vigilanza delle aree sensibili dell’aeroporto. Era una giornata d’autunno inoltrato e la nebbia aveva cominciato ad annunciarsi già alle prime ore della sera. Verso mezzanotte la nebbia era già fittissima e si poteva tagliare con il coltello. Decisi di andare a fare una rapidissima visita ai ragazzi che erano comandati di guardia nelle zone aeroportuali più delicate. Arrivai alla linea di volo e non riuscivo nemmeno a vedere gli aerei allineati sul piazzale antistante il 22° Gruppo (allora non c’erano ancora gli schelter, i piccoli hangar di protezione per i velivoli). C’era solo un grande silenzio e questa nebbia implacabile che privava tutti gli oggetti della loro dimensione. Una guardia mancava all’appello e con un po’ di preoccupazione, iniziai a cercarla anche perché la nebbia attenuava tutti i rumori, compresa la mia voce. Cercai per alcuni minuti e alla fine decisi di entrare in una baracca, non molto lontana dalla palazzina del 22° Gruppo che veniva di solito utilizzata come deposito per le gomme degli aerei, illuminando i miei passi con la potente torcia in dotazione. Sentii un insistente singhiozzare provenire dal fondo di un piccolo corridoio. Rivolsi in quella direzione il fascio di luce della mia pila e vidi l’Aviere seduto per terra con la testa posata sulle ginocchia. “Signor tenente, songhe ‘e Napule e mi manca il sole”. Il ruolo mi impediva di commuovermi ma il mio cuore era con quel ragazzo. Ho provveduto alla sua sostituzione e mi sono, poi, nuovamente perso nella fitta nebbia di quella lunga giornata d’autunno. Fu per me una bellissima lezione di vita, un momento di arricchimento emotivo che, archiviato nel cuore, affiora tutt’oggi nei miei ricordi.

10. Ti ricordi Amico mio…?

Agli alloggi ufficiali mi fu assegnata una cameretta al primo piano. Era il mio piccolo mondo dove mi faceva compagnia anche un grazioso canarino Artzer. Aveva la sua gabbietta ma la porticina era sempre aperta e lui era libero di girare per la stanza a suo piacimento. Rappresentava, però, un problema per la Signora che riordinava le nostre stanze perché aveva paura che il canarino scappasse. Per tranquillizzarla io le ripetevo…se scappa è perché sceglie la libertà. Alle volte la sera, prima di addormentarmi, mi perdevo nella lettura di un libro. Lui usciva dalla sua gabbietta e si posava sul bordo del libro difronte al mio naso e sembrava pormi delle domande che io, ovviamente, non comprendevo. Quando ritornava nella sua gabbietta, io gli spegnevo la luce a metà percorso e lui mi lanciava un cinguettio risentito ben sapendo che la luce la riaccendevo subito. Quando mi sono sposato la sua gabbietta era posta su un mobile della cucina ed era sempre libero di uscire. Aveva preso confidenza anche con mia moglie e giocava spesso fra i suoi capelli. Un giorno di primavera, complice una finestra aperta, uscì e non tornò più. Aveva scelto la sua libertà.

Come avrete notato, ho intenzionalmente evitato di fare riferimento a specialità lavorative e a nomi di persone, non volevo dimenticare nessuno, nemmeno di “chi piegava il mio paracadute”. Quando un aereo stacca le sue ruote da terra, dietro quel decollo c’è il lavoro di molte, molte persone che operano in silenzio e fuori dalla luce dei riflettori.
Due persone che non ci sono più, però, non posso fare a meno di ricordarle: il Generale Riccardo Marchese già Capo Ufficio Comando dl 51° Stormo e il Colonnello Pilota Gianfranco Bono già colonna portante del 22° Gruppo Caccia che hanno rappresentato, per me, due grandi Maestri e le Pietre Miliari nel mio percorso di vita in Aeronautica Militare.
Ora che il passo si fa sempre più lento, la voce sempre più stanca e la fiamma ha iniziato a fare le sue ultime danze attorno allo stoppino della candela, ho ritenuto doveroso offrire a tutti, questo mio modesto contributo di memoria e come disse il colibrì che correva, con il becco pieno di acqua, verso le fiamme che avvolgevano la foresta…io faccio la mia parte. Anch’io ho fatto la mia parte e dico orgogliosamente sono stato:
UN CACCIATORE DI STELLE.
Aldo Rossi

Alcune foto e i filmati presenti in questo post, sono stati presi da Internet e quindi valutati di pubblico dominio. Se gli Autori interessati avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, dovranno semplicemente segnalarlo a info@rossialdo.com e si provvederà all’immediata rimozione.

Share Button