Sono passati 78 anni dalla liberazione dell’Italia e si continua a mistificare la realtà, occultando il fatto che i liberatori sono state le forze americane e inglesi con il contributo più che controverso dei “partigiani”, soprattutto dei partigiani comunisti che, anche a guerra finita, hanno commesso delle tremende atrocità nei confronti dei civili e tutt’oggi negate dalla storiografia ufficiale.
Ed è così che il 25 aprile è diventato essenzialmente l’anniversario della Resistenza. Anche quest’anno la celebrazione, monopolizzata dall’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia), si trasformerà in una festa arcobaleno, mettendo al centro i temi di attualità: immigrati, LGBT, Gender.
Cari amici, quanto tempo dovrà ancora passare prima che si affermi la verità sulla liberazione dell’Italia e si assuma un comportamento che prevenga e ci salvi dalla nuova occupazione negro-islamica?
Come sempre, anche nel caso dei partigiani le generalizzazioni non rendono mai giustizia. Certamente fra i partigiani ci sono state persone, poche per la verità, che hanno agito con coerenza e con convinzione. Solo a quelle persone va rivolto un pensiero di deferente rispetto. Il resto è tutta feccia puzzolente.
Aldo Rossi
Per eventuali osservazioni e commenti:
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RADUNO DI “PARTIGIANI PER SENTITO DIRE” E DI “PARTIGIANI LOW COST”





DA CHI DOVREBBE RAPPRESENTARE GLI ITALIANI E L’UNITA’ NAZIONALE.
LA “NEGRETTA” SI E’ FATTA TUTTE LE GUERRE DEL NOSTRO RISORGIMENTO SULLE BARRICATE, LA PRIMA GUERRA MONDIALE IN TRINCEA, LA SECONDA GUERRA MONDIALE…A LETTO PER RISOLLEVARE IL MORALE DEI SOLDATI AMERICANI…!





DELLA SERIE PARTIGIANI BRAVA GENTE…ALCUNE PERLE.

23 aprile del 1944.
In quel giorno due partigiani della banda “Manni”, si presentarono a Lugnola di Configni, un paesino in provincia di Rieti, in cerca della giovane capodistriana Jolanda Dobrilla. Nonostante il paese si apprestasse a festeggiare la Madonna di Loreto, gli improvvisati “giustizieri” decisero di agire senza alcuna esitazione. La prelevarono con forza e la trascinarono sui monti all’estremo nord dei Prati di Sotto, le “Prate di Cottanello”.
Qui Jolanda fu uccisa in modo atroce: le venne lanciata contro una bomba a mano ed il suo corpo successivamente dato alle fiamme.
Quel che il rogo risparmiò divenne il pasto dei maiali che pascolavano nella zona. Era consuetudine, per questi individui, usare ogni mezzo possibile per cancellare le prove delle violenze e delle sevizie perpetrate sui giovani corpi delle loro vittime. Ecco i fatti nel dettaglio:
Jolanda aveva appena 17 anni ed era già in forza, come traduttrice, al Comando germanico di Velletri, in provincia di Roma.
A seguito di un violentissimo bombardamento angloamericano che aveva raso al suolo anche il suo comando, Jolanda aveva deciso di ritornare a casa. Il viaggio di ritorno, però, risultò impossibile e così Jolanda si vide costretta a trascorrere quell’inverno, tra il 1943 ed il 1944, sulle montagne di Rieti, amorevolmente ospitata presso la Famiglia Papucci.
Tuttavia la sua bellezza ed il suo conoscere perfettamente una lingua così tanto odiata dalla guerriglia comunista, fecero nascere dei sospetti: “Jolanda è una spia e va eliminata !”
Fu così, sulla base del nulla più assoluto e di un pretesto assurdo, che i Comandi partigiani della zona decretarono la condanna a morte della giovane Jolanda.
Le Autorità della RSI intervennero immediatamente per cercare Jolanda, ma ogni tentativo fu vano.
La scia di sangue di questi “eroi” però non si fermò qui perché il Milite della GNR Primo De Luca, che stava indagando sulla vicenda raccogliendo indizi sui colpevoli, il 9 maggio del 1944, venne catturato e sommariamente fucilato davanti al cimitero di Vasciano di Stroncone, in provincia di Terni.
I nomi degli assassini di Jolanda e Primo furono individuati.
Si trattava dei due partigiani comunisti, della banda Manni facente parte della Brigata “Gramsci”, Francesco Marasco e Luigi Menichelli.
Verranno indagati e giudicati ma, nel 1950, prosciolti dalla Sezione Istruttoria della Corte di Appello di Roma perché il loro atto fu considerato un legittimo “atto di guerra”.
Valentina Carnielli
Nella foto Jolanda qualche anno prima di essere assassinata.
Guardando questa immagine ci si perde nei suoi meravigliosi occhi e… “dritto un canto verso il cielo, sale alto e prende il volo”.
IL VERO VOLTO DEL 25 APRILE

Matteo Carnieletto
Croce disse (a ragione) che nessuno aveva vinto la guerra. Troppo odio e violenza avevano contraddistinto il nostro Paese. E la scia di sangue sembra non finire mai
“Noi italiani abbiamo perduto una guerra, e l’abbiamo perduta ‘tutti’, anche coloro che l’hanno deprecata con ogni loro potere, anche coloro che sono stati perseguitati dal regime che l’ha dichiarata, anche coloro che sono morti per l’opposizione a questo regime, consapevoli come eravamo tutti che la guerra sciagurata, impegnando la nostra Patria, impegnava anche noi, senza eccezioni, noi che non possiamo distaccarci dal bene e dal male della nostra Patria, né dalle sue vittorie né dalle sue sconfitte. Ciò è pacifico quanto evidente”. Benedetto Croce pronunciò queste parole di fronte all’Assemblea Costituente in occasione della ratifica del trattato di pace, il 24 luglio del 1947. Nessuno vinse il 25 aprile del 1945. L’Italia era libera, certo. Ma a che prezzo? Il Paese era distrutto politicamente ed economicamente. Gli italiani mai così divisi.
L’8 di settembre, infatti, aveva spaccato il Paese in due: 160mila persone avevano deciso di aderire alla Repubblica sociale italiana, 130mila alla resistenza. In mezzo, l’immenso mare grigio degli indecisi, di coloro che stavano da una parte o dall’altra senza prendere apertamente posizione. Di quelli che, seguendo la più italica delle virtù, decisero di stare alla finestra a guardare.
Fu, quello che andò dall’autunno del 1943 alla primavera del 1945, un anno e mezzo di guerriglia, rastrellamenti e, anche (forse sarebbe meglio dire soprattutto), violenza gratuita. Da una parte e dall’altra. Solo che per lungo tempo si parlò solamente dei crimini di fascisti e nazionalsocialisti. Giusto e scontato, per carità. La storia, come è noto, la scrivono i vincitori a proprio gusto e, soprattutto, consumo.
La neonata repubblica aveva bisogno di un mito sul quale poggiare e quel mito doveva essere, per forza di cose, quello della resistenza. Tutte le ere politiche, si pensi ad esempio alla nascita di Roma, necessitano di un tributo di sangue: Romolo deve uccidere Remo. Benito Mussolini, l’ormai ex duce, doveva essere brutalmente ammazzato ed esposto all’odio di piazzale Loreto. Un Paese intero aveva bisogno di vederlo non solo morto, ma sfigurato. Bisognava esorcizzare la paura di esser stati con quell’uomo, di essersi fidati di lui, di averlo seguito non per due mesi ma per ventidue anni. Del resto era stato Winston Churchill a dire: “Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno dopo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure, questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti”.
Ed è proprio quello che accadde. La resistenza fu un fenomeno di minoranza (vi parteciparono solamente 130mila persone contro i 160mila volontari della Rsi) e solo dopo la fine della guerra divenne un’epopea. Si cercò in tutti i modi di cancellare i crimini compiuti dei partigiani. Per anni non si parlò, tranne in rare occasioni, del triangolo della morte in Emilia o delle foibe sul confine orientale. La resistenza non poteva esser macchiata da alcun crimine. Nonostante ce ne fossero molti, come ogni guerra, per di più asimmetrica, prevede.
E questo almeno fino al 2003, quando Giampaolo Pansa scrisse Il sangue dei vinti. Quello che accadde in Italia dopo il 25 aprile (Sperling & Kupfer). Il libro, va detto, non portava alcuna verità ulteriore dal punto di vista storiografico. Ma era il nome dell’autore, la sua provenienza da sinistra e la sua potenza mediatica a ribaltare il tutto. Nella prefazione, il grande giornalista piemontese scrive: “Se scruto dentro di me, m’accorgo che sono diventato meno manicheo. Prima ero incline a dividere il mondo in amici nemici. E a distinguere con intransigenza il bene dal male. A proposito della guerra civile, il bene era la Resistenza, il male i fascisti. Oggi non sono più sicuro di questa spartizione netta. Parlo della storia delle persone, naturalmente. Non della grande storia, ossia dello scontro fra democrazia e totalitarismo”.
Ecco, è questo il merito di Pansa. Di aver dimostrato che sotto la grande storia, dove è facile distinguere il bene dal male, esistono le vicende dei singoli, di coloro che, per i più svariati motivi, decisero di combattere da una parte o dall’altra. L’immagine più drammatica, forse, ci è data da quattordici fratelli (7 + 7) che furono brutalmente sterminati. Stiamo parlando dei sette Fratelli Cervi, fucilati dai fascisti il 28 dicembre del 1943, e i sette Fratelli Govoni, seviziati e massacrati a guerra finita dai partigiani della Brigata Paolo. Due famiglie distrutte per mano dell’odio.
Furono in pochi a vincere in quei mesi. Uno di questi fu Giovannino Guareschi, che aveva deciso, per restare fedele al giuramente fatto al re, di finire nei campi di concentramento tedeschi: “Per quello che mi riguarda, la storia è tutta qui. Una banalissima storia nella quale io ho avuto il peso di un guscio di nocciola nell’oceano in tempesta, e dalla quale io esco senza nastrini e senza medaglie ma vittorioso perché, nonostante tutto e tutti, io sono riuscito a passare attraverso questo cataclisma senza odiare nessuno”. Pochi riuscirono a farlo. Ed è per questo che l’Italia non perse solo la guerra. Ma anche se stessa.
(Dal Web)

Pietro Morlin
A memoria dei compagni comunisti che cominceranno a starnazzare il 25 aprile i cui nonni partigiani comunisti furono autori di eccidi a guerra finita ne ricordo uno su tutti :il 13 aprile 1945: Rolando Rivi, seminarista di 14 anni, barbaramente torturato e ucciso in una sommaria esecuzione da Giuseppe Corghi e da Delciso Rioli, partigiani della Brigata Garibaldi, appartenenti al battaglione Frittelli della divisione Modena Montagna (Armando) comandata da Mario Ricci (i due furono poi condannati – in tutti e tre i gradi di giustizia – per omicidio a 22 anni di carcere, ma in realtà ne scontarono solo 6 grazie all’Amnistia Togliatti. Da un documento del Ministero dell’Interno, non firmato, datato 4 novembre 1946 e che all’epoca non fu reso pubblico, risulta che «il numero delle persone uccise, perché politicamente compromesse, è di n. 8.197 mentre 1.167 sono state, per lo stesso motivo, prelevate e presumibilmente soppresse». PIù DI 8000 morti italiani a guerra finita in patria.CIVILI Ma tutto questo i compagni ogni 25 aprile non lo raccontano .
(Dal Web)