ORESTE, ULISSE, ANTIGONE: QUEI MODELLI CHE ORIENTANO ANCORA IL NOSTRO PRESENTE

Nel mito troviamo archetipi che ci accompagnano, nei quali riconosciamo le motivazioni dei nostri comportamenti e le caratteristiche della nostra personalità.

EVA CANTARELLA – CORRIERE DELLA SERA 17 GIUGNO 2012

Parlare dell’eredità che i greci ci hanno lasciato è il minimo che si possa fare, in giorni come questi. Quali che siano le condizioni, gli errori e le responsabilità di ciascuno di noi, sarebbe non solo ingiusto ma profondamente sbagliato dimenticare che senza quello che i greci ci hanno insegnato noi non saremmo quello che siamo. Il che non significa, sia ben chiaro, tornare a mitizzarli come per troppo tempo si è fatto parlando dei loro presunti valori universali e della altrettanto presunta eternità di questi. Quel che dobbiamo fare, insomma, non è tornare a parlare della Grecia a proposito della quale, per intendersi, i libri di scuola parlano ancora, talvolta, di “miracolo greco”. Di quella Grecia mitizzata la storiografia da alcuni decenni ha dimostrato l’irrealtà. E’ a un’altra Grecia che ci lega il nostro debito, quella vera, finalmente sottratta al mito, lontana e diversa da noi; ma nella quale affondano, tuttavia, alcune delle più importanti conquiste del nostro pensiero, e le origini delle nostre istituzioni politiche e giuridiche. Come stanno a dimostrarci – tra l’altro – i loro miti. A cominciare da quello messo in scena da Eschilo, nel 458 a.C. il mito di Oreste. Agamennone racconta Eschilo nell’Orestea, torna vittorioso dalla guerra di Troia. Sua moglie Clitennestra, diventata nel frattempo l’amante del cognato Egisto, con la complicità di questo lo uccide. A indurla a farlo, oltre alla smania di potere, sta il fatto che Agamennone ha ucciso la figlia Efigenia, sacrificandola agli dei per ottenere un vento favorevole alla navigazione verso Troia, e tornando dalla guerra ha portato con sé una concubina, che Clitennestra uccide assieme a lui. Ma vendetta chiama vendetta, e Oreste, figlio di Clitennestra e di Agamennone, vendica il padre uccidendo la madre. Ed ecco le Erinni, le antiche dee della vendetta, esigere altro sangue in cambio del sangue di Clitennestra. Gli implacabili mostri, che stillano sangue dagli occhi, perseguitano Oreste ovunque egli vada. Sino al momento in cui interviene Atena: a risolvere la questione, dice la dea, istituirò un tribunale, nel quale siederanno come giudici i migliori cittadini, estranei ai fatti e imparziali, che giudicheranno dopo aver accertato i fatti valutando colpe e responsabilità. Il mondo della vendetta è finito. La narrazione mitica celebra l’avvenimento che ha segnato una tappa fondamentale della storia non solo di Atene, ma della nostra civiltà giuridica: non esiste responsabilità senza colpa regolarmente accertata da un organo giudicante. Ma dal mito non vengono solo insegnamenti fondamentali come questo. In esso troviamo anche degli archetipi che ci accompagnano ancora, nei quali riconosciamo le motivazioni dei nostri comportamenti e le caratteristiche della nostra personalità. Prendiamo ad esempio il mito di Ulisse. Itaca, come ben noto, è stata spesso intesa come una metafora: “Se cerchi la tua strada verso Itaca – scrive Kavafis, in una bellissima poesia – spera in un viaggio lungo, avventuroso e pieno di scoperte. I Lestrigoni e i Ciclopi non temerli, non temere l’ira di Poseidone…non hai bisogno di affrettare il corso, fa che il tuo viaggio duri anni, bellissimi, e che tu arrivi all’isola ormai vecchio, ricco di insegnamenti appresi in via…”. Non è volontà di un dio (come fu, per Ulisse, l’ira di Poseidone), a determinare il tuo viaggio: sei tu l’artefice della tua sorte – dice Kavafis – sei tu il padrone della tua vita. Quanti sono, oggi, gli Ulisse che affrontano pericoli apparentemente insuperabili, come fece Ulisse affrontando i Lestrigoni e i Ciclopi? Quanti sono coloro che si avventurano verso incontri con un inconoscibile che invece si può conoscere? Come Ulisse entrò nell’Ade, il mondo dei morti, noi, oggi, ci confrontiamo con le conquiste e i misteri delle scienze e della tecnologia. Ulisse è tra noi, Ulisse siamo noi, possiamo incontrarlo. Esattamente come incontriamo Antigone e Creonte, i protagonisti della tragedia più bella di Sofocle e, forse, di tutte le tragedie greche. Nata dal matrimonio incestuoso fra Edipo e sua madre Giocasta, dopo la tragica fine dei genitori Antigone vive a Tebe, governata dallo zio Creonte, fratello di sua madre, ed è fidanzata con il figlio di questi, Emone. I suoi due fratelli Eteocle e Polinice, in lotta per il potere sulla città, si sono affrontati in battaglia e sono morti: Eteocle difendendo una delle sette porte della città, Polinice dandole l’assalto. E Creonte decreta: chi oserà dar sepoltura al suo cadavere sarà lapidato. Ma Antigone viola il divieto, per lei il dovere di dare sepoltura al fratello è più forte di ogni legge umana. E quando viene scoperta difende le sue ragioni di fronte a Creonte, che sostiene le proprie. Creonte afferma il dovere, anche per lui, di rispettare le “leggi scritte”, che gli impongono di metterla a morte. Ma a queste leggi, dettate dal poter politico, Antigone oppone quelle “non scritte” vale a dire le regole etiche da lei sentite come imprescindibili. Sono due sistemi di regole diverse: qui sta il dilemma tragico. Nessuno dei due contendenti ha ragione, nessuno dei due ha torto. O meglio ambedue hanno ragione, ambedue hanno torto. Creonte è un politico con un forte senso della Stato, Antigone non è un’anarchica, ma rifiuta di rispettare una regola a suo giudizio senza fondamento etico. La tragedia si conclude, inevitabilmente, con la fine di ambedue i contendenti. Antigone condannata a morire, si impicca. Il suo fidanzato, Emone, si uccide sul cadavere di lei. Alla notizia della morte del figlio si uccide anche Euridice, la moglie di Creonte: un uomo finito, ormai, moralmente annientato. Una storia, greca, anch’essa presente fra noi: la morte fisica di Antigone e quella morale di Creonte sono la fine inevitabile del conflitto che si ripropone quando un individuo, un gruppo, un popolo non riconoscono il fondamento etico di una regola di diritto, anche in un sistema legittimo e “giusto”. Anche per questo i greci sono presenti fra noi, ecco perché senza di loro saremmo diversi.

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